Il paese dei poveri

Un brano da “Il Paese dei Poveri” – Edizioni Rei, 2014

“- Achille DiMea, lo colpisca.
Negli occhi abbiamo ancora lo stesso sole, lo stesso mattino, ma un uomo diverso: è Achille che abbiamo davanti, la bocca stretta e gli occhi spalancati, tetri, sbarrati; si guardano avanti, gli occhi, e guardano ciò che non possiamo vedere.
Da poco lontano è arrivata la voce, ed è voce che ben conosciamo: la voce di chi ha intimato al vecchio di alzarsi, pochi istanti fa; la voce che lo ha rigettato a terra,
con tutta probabilità.
E ancora è violenta, e ancora ordina, ostile, batte come lo sbatter della bacchetta al tamburo sui nostri timpani, e rompe, schiaccia, vibra.
E davanti agli occhi abbiamo soltanto il volto di Achille, altrove e presente, proiettato in avanti a guardare, vedere, cercar ci capire che fare.
Quest’uomo, la guardia, sta dicendogli di colpire qualcosa, speriamo, o forse qualcuno, e se spinge a colpire qualcuno temiam di sapere già a chi si riferisca, contro chi voglia il colpo, chi voglia colpire.
Noi vediam solo il volto di Achille, ricordiamo; e il cielo biancastro alle spalle della fronte rasata, delle orecchie tese, degli occhi sbarrati, vitrei, indecisi.
Achille non sa proprio che fare, e la voce che grida di nuovo, che grida ancora, ed è voce di guardia, e ne siamo certi: – Su, avanti, che aspetta? Lo colpisca. – urla, e noi ce la sentiam nelle orecchie, e a vedere Achille anche lui se la sente, anche lui ne viene ferito; anche se vediam solo la pelle ne siam certi, sicuri, convinti.”

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